sabato 25 giugno 2016

L'ebrezza di Noè e il vino della salvezza



Noè, una delle più belle figure cristologiche del Vecchio Testamento, compiutasi la vicenda dell'Arca, prefigurazione della Chiesa salvifica di Cristo, pianta una vigna e ne beve il vino fino ad ubriacarsi.
Tutto è compiuto! Il Dio trinitario ha salvato dalla Morte, con la sua Arca, la chiesa, l'umanità e gli ha dato una terra nuova. 
Ora ecco che con un nuovo gesto di Noè Dio si mostra in un compendio. Pianta una vigna, che ancora una volta è il Cristo, l'uomo nuovo, ed è la sua chiesa. Poi beve il vino di questa vigna, vino che sappiamo essere insieme il sangue salvifico di Cristo e la Salvezza stessa della nuova umanità. 
Dio si ubriaca della sua nuova umanità salvata fino a mostrarsi nudo. E' il vino delle nozze di Cana ed è il vino dell'Ultima Cena, e ancora il vino della salvezza eterna.



Genesi 9,20-21

20 Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. 21 Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all'interno della sua tenda. 

sabato 19 marzo 2016

Domenica di passione

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 22,14-71.23,1-56.
Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui,
e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione,
poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio».
E preso un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi,
poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio».
Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi».
«Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola.
Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito!».
Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò.
Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande.
Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori.
Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve.
Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve.
Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove;
e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me,
perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.
Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano;
ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli».
E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte».
Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi».
Poi disse: «Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla».
Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una.
Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine».
Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli rispose «Basta!».
Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono.
Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione».
Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava:
«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà».
Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo.
In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra.
Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza.
E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».
Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo.
Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?».
Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?».
E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio destro.
Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate, basta così!». E toccandogli l'orecchio, lo guarì.
Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante?
Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre».
Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano.
Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro.
Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: «Anche questi era con lui».
Ma egli negò dicendo: «Donna, non lo conosco!».
Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei di loro!». Ma Pietro rispose: «No, non lo sono!».
Passata circa un'ora, un altro insisteva: «In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo».
Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell'istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò.
Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte».
E, uscito, pianse amaramente.
Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano,
lo bendavano e gli dicevano: «Indovina: chi ti ha colpito?».
E molti altri insulti dicevano contro di lui.
Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero:
«Se tu sei il Cristo, diccelo». Gesù rispose: «Anche se ve lo dico, non mi crederete;
se vi interrogo, non mi risponderete.
Ma da questo momento starà il Figlio dell'uomo seduto alla destra della potenza di Dio».
Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono».
Risposero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca».
Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero da Pilato
e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re».
Pilato lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici».
Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: «Non trovo nessuna colpa in quest'uomo».
Ma essi insistevano: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui».
Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo
e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme.
Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui.
Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla.
C'erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza.
Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato.
In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro.
Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo,
disse: «Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate;
e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte.
Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò».
.
Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «A morte costui! Dacci libero Barabba!».
Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio.
Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù.
Ma essi urlavano: «Crocifiggilo, crocifiggilo!».
Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò».
Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano.
Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita.
Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.
Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù.
Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui.
Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli.
Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato.
Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci!
Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?».
Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati.
Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra.
Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte.
Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto».
Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano:
«Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso».
C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!».
Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena?
Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male».
E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».

Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».
Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio.
Il velo del tempio si squarciò nel mezzo.
Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò.
Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: «Veramente quest'uomo era giusto».
Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto.
Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti.
C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta.
Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio.
Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù.
Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto.
Era il giorno della parascève e gia splendevano le luci del sabato.
Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù,
poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.


 

martedì 15 marzo 2016

Scriveva per terra...



   
Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Gv 8,1-11

Tre sono gli attori della scena. 
Il primo è Dio: Dio che sta nel monte degli ulivi, Dio che sta nel tempio, Dio che insegna al popolo. 
Dio è si incarnato in un uomo, ha assunto un volto, un nome una stirpe e un paese di provenienza; Dio è Gesù di Nazaret della stirpe di David, figlio di Giuseppe e di Maria. Dio si rende uno, solo e riconoscibile.
Il secondo attore è Satana, l'accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusa davanti a Dio giorno e notte. Appare nelle sembianze indefinite di una pluralità di scribi e farisei, è un "branco" senza un nome preciso, senza un volto preciso. Satana viene a provocare Dio: "mostrami Signore dove sta la tua giustizia, mostrami o Dio se davvero sei così giusto come pretendi di essere, se davvero davanti a chi trasgredisce la tua Legge sei irreprensibile coome dovresti. Oppure mostrami il tuo limite! Ammetti la tua debolezza."
Satana "mette in mezzo", usa il terzo personaggio.
E il terzo personaggio che appare sembra solo una comparsa, un oggetto più che un soggetto. Il terzo personaggio siamo noi, l'umanità. L'umanità qui ha l'aspetto di  sembianze di una donna, una peccatrice, una che ha trasgredito la Legge, che ha tradito Dio e soprattutto se stessa. Non parla quasi nella scena, è condotta, possiamo facilmente immaginarla trascinata suo malgrado davanti al Maestro. Sola, indifesa, disprezzata. 
"Merita la morte" questa umanità peccatrice: "Lo dica Dio che merita la morte!" Questo è ciò che satana vuol far dire a Gesù.
Satana chiede a Dio: "Che ne fai adesso di questa umanità debole e corrotta, che ti ha tradito, che ha tradito le tue aspettative? La metterai a morte secondo la Legge che il tuo stesso dito ha scritto sulla roccia, davanti a Mosè, o ti mostrerai verso di lei pietoso e incoerente? Se sei Dio sii dunque tutto d'un pezzo: abbandona al suo destino quest'immonda debole creatura, e non tradire te stesso! Mostra che il tuo amore è impotente e limitato. Mostra la pochezza della tua gloria!"
Dio tace, Dio non risponde, e scrive per terra. Scrive col dito, proprio come quando, finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della Testimonianza, due tavole di pietra contenenti la sua Legge la "legge di Mosè" quella citata da Satana a Gesù. Anch'esse erano scritte dal dito di Dio, da quello stesso dito che ora sta scrivendo sulla terra.
Dio scrive come allora, ma non più nella pietra, come ai tempi di Mosè, non più nella dura pietra, bensì nella morbida terra polverosa, nella materia stessa che Egli usò quando, al principio, volle plasmare Adamo. Dio stavolta scrive in Adamo stesso. 

Poi Dio si alza e parla. 
Si alza, ed è chiaro nel suo alzarsi quel che il gesto vuol dire: Io sono Dio! E' chiaro e terribile. Quell'alzarsi di Gesù risuona come un tuono dal cielo: "Chi è come Dio?!"
E poi il Maestro aggiunge «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 
Tu Satana, scribi e farisei, sei forse puro? Sei forse tu Dio? Tu Satana ti proclami pari al Creatore? Sei forse tu senza peccato? Ebbene, se tale tu pensi di essere, - tu, proprio tu che hai per primo commesso il terribile peccato di ribellarti al Signore - allora metti in atto la mia Legge. Fallo tu stesso: scaglia quella prima pietra. La pietra sulla quale il dito di Dio ha scritto la Legge per i cuori di pietra!

Satana è sconfitto, tace e se ne va. 

Adesso Dio si rivolge all'umanità, a quell'oggetto a cui finora nessuno aveva rivolto la parola: donna, mia amata umanità peccatrice, povera creatura mia, pecora sperduta della mia casa, pecora amata: nessuno ha potuto condannarti? Dov'è Satana, si è forse ritirato?
E la donna, l'umanità, divenuta finalmente un soggetto risponde: "Nessuno, Signore!" Sono qui sola, in mezzo, col mio peccato; per le tue parole nessuno mi ha più potuto lapidare. Anche Satana se n'è andato via impotente.

Dio restituisce in quel momento libertà e dignità alla sua creatura: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Sei libera figlia mia, le dice, puoi andare, puoi godere della tua libertà, puoi vivere nella libertà, ma non peccare più.

martedì 2 giugno 2015

QUESTO E' IL MIO CORPO

di D. Giuseppe Pelizza SdB

Gesù, sapendo che era ormai giunta la sua ora, raccolse i suoi per il banchetto pasquale. Mentre cenava, prese del pane e disse:
 «Questo è il mio corpo».
Cosa intendeva dire esattamente con queste parole? Anzitutto, il contesto grammaticale ebraico non prevede l’uso del verbo essere, per cui quando si indica un oggetto o una qualità e la si riferisce ad una persona, significa che quella cosa o quella qualità è identica alla persona. Così Giovanni – buono, significa che Giovanni è buono; pane – salato, corrisponde all’italiano: il pane è salato. Vi è, dunque, in ebraico, un’identificazione immediata fra il soggetto e il suo attributo, o fra due soggetti differenti. L’assenza del verbo essere non solo non toglie nulla alla forza della frase, ma, anzi, ne rafforza ancor più il senso. Quando Gesù disse: «Questo è il mio corpo», intendeva proprio dire che quel pane, in quel momento stesso era il suo corpo, e lo sarebbe stato finché sarebbe rimasto pane.
La lingua latina, usata nella Chiesa per la celebrazione liturgica, a tal proposito è molto chiara. L’espressione utilizzata nella consacrazione del pane dice: hoc est enim, dove la parola enim viene utilizzata per sottolineare con forza l’identità del pane con il Corpo di Cristo. Questo uso era comune nella lingua latina, tanto che scrittori come Plauto e Cicerone lo usavano frequentemente. L’italiano avrebbe potuto tradurre: «Questo è veramente il mio corpo», ma per ragioni di stile linguistico, si è preferito alleggerire la frase, lasciando solo: «Questo è il mio corpo».
Risolto, dunque, questo problema di carattere grammaticale, vediamo cosa potesse intendere Gesù con questa frase.
Anzitutto, va chiarito che la frase non indica la presenza del Suo corpo nel pane. Questo può forse sembrare strano, ma in questo contesto ogni parola ha un peso di particolare importanza. Oggi noi non diamo molta importanza alle parole che usiamo ed è forse proprio per questa ragione che non ci capiamo più. Ma qui non possiamo permetterci il lusso di parlare come se fossimo ad un dibattito televisivo.

Gesù dicendo che il pane è il suo corpo, non intende dire che il suo corpo è nel pane, come se il pane contenesse, come una scatola, un qualcosa che chiamiamo corpo di Cristo.
Gesù dice che il pane è il Suo corpo. Non esiste più ciò che prima chiamavamo pane, esiste un’altra realtà, che è il Suo corpo, e che ha sostituito totalmente la realtà precedente che conoscevamo come pane. Questo è quanto ci dice la fede.

La mente umana ha cercato di comprendere questa verità, unica ed esclusiva in tutta la storia, dicendo che la sostanza del pane si è mutata totalmente nella sostanza del corpo di Cristo. Le apparenze esterne sono rimaste le medesime: forma, colore, gusto, ma la sostanza a cui ineriscono, la sostanza del pane, questa è stata mutata.
Anche l’uomo muta col tempo: cambia il colore dei capelli, la pelle e anche se qualcuno, con il lifting, cerca di spostare l’orologio dell’invecchiamento, queste mutazioni avvengono in tutto il suo corpo. Tuttavia, l’uomo avverte di essere sempre la stessa realtà, di avere la medesima coscienza di quando era bambino. Tanto che la psicologia ci insegna che i problemi irrisolti si trascinano per tutta la vita. Dunque, nell’uomo vi è una mutazione esterna ma un permanere della consapevolezza della propria realtà.

Nel caso dell’Eucaristia abbiamo, invece, il permanere del dato esterno (colore, forma e gusto del pane) ma un mutamento della realtà a cui questi dati si riferiscono: la sostanza del pane si muta nella sostanza del corpo di Cristo.
Sostanza che noi non possiamo vedere, proprio come non possiamo avere nessuna esperienza della coscienza dell’altro o della sostanza della sua identità. Possiamo solo riconoscere un altro dalla somiglianza fisica ma mai secondo la percezione che lui ha di se stesso nella sua coscienza.
È il dato fisico dell’altro che ci dice che lui è lui e non un’altra persona. Ma questo dato fisico, per quanto importante – e oggi esagerato – non è mai l’identità della sua persona perché questa sempre sfugge all’esperienza che possiamo avere.
Nell’Eucaristia, Gesù non ci consegna la fisicità materiale del suo corpo – ora pienamente trasfigurato – (e quale poi? Quello di bambino in braccio a sua madre, quello di adolescente nel Tempio, o quello di giovane predicatore?), ma la sostanza del suo corpo, ricevuto totalmente da Maria, che gli ha permesso di condurre la sua esistenza terrena.
Inoltre, secondo il suo intendimento ebraico, quando Gesù parlava di corpo, intendeva tutta la realtà umana fatta di volontà, emozioni, esperienza, storia e mistero.
Dicendo: «Questo è il mio corpo», indicava la sua persona nella completezza della sua realtà, tanto storica quanto spirituale.
Ma questo è un altro aspetto su cui indagheremo, a Dio piacendo, la prossima volta. Per ora, soffermiamoci a contemplare questa realtà della presenza eucaristica di Gesù vero, nato dalla Vergine madre e a noi donato nel consumarsi dei giorni.
                                                                                               



sabato 9 maggio 2015

La scelta di Pietro

Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.
La barca intanto distava gia qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «E' un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».
Matteo 14:22-36
 E' a Pietro, un uomo semplice e senza doti particolari che Gesù affida la sua Chiesa. Un uomo che dubita, ma che non fuggirà dalla croce, un uomo che rinnega, non un grande del pensiero, ma un pescatore, Simone detto "cefa" ("roccia "). Pietro, infatti, è l'umanità che si assume il compito gravoso di condurre la barca con Gesù (la chiesa) tra le tempeste della storia.

domenica 26 aprile 2015

I nomi

GESU'
Dio salvatore
E' l'adattamento italiano del nome aramaico יֵשׁוּעַ (Yeshu'a), passato in greco biblico come Ἰησοῦς (Iēsoûs) e in latino biblico come Iesus; si tratta di una tarda traduzione aramaica del nome ebraico יְהוֹשֻׁעַ (Yehoshu'a), ovvero Giosuè, che ha il significato di "YHWH è salvezza", "YHWH salva". Questo nome è noto a livello internazionale per essere stato portato da Gesù, detto "il Cristo", figura centrale del Nuovo Testamento, venerato come il figlio di Dio dai cristiani e considerato un importante profeta anche dai musulmani.

MARIA
L'amore di Dio
E' la forma latina del greco biblico Μαρία (María), a sua volta mutuato dall'ebraico מִרְיָם (Miryam)- tale nome è passato in greco anche come Μαριαμ (Mariam), dove le due forme erano intercambiabili, giungendo poi in italiano come Miriam.
Sono numerose le ipotesi riguardanti la sua etimologia e il suo significato. La teoria più accreditata propone un'origine egizia, basata su mry o mr (rispettivamente "amata" e "amore"). Tale teoria è supportata anche dal fatto che l'unico personaggio che porta questo nome, nell'Antico Testamento, è la sorella di Mosè Miriam, nata proprio in Egitto. Una teoria sviluppata all'inizio del XX secolo accosta al termine egizio il nome di Yam (un dio del Levante, correlabile a YHWH), dando il significato di "amata da YHWH" o "che ama YHWH".
Sono però numerose e propugnate da diversi studiosi altre teorie che vedono Miryam come un nome originatosi direttamente all'interno della lingua ebraica. Wilhelm Gesenius fu il primo a considerarlo un composto di meri e am ("la loro ribellione"); più avanti abbandonò tale teoria, che venne comunque portata avanti da alcuni suoi studenti. È stata proposta anche la derivazione dal solo termine meri, quindi "ribellione".
Degna di nota, sebbene probabilmente errata, è l'interpretazione che darebbe a Maria il significato di "mare amaro", come composto di mar ("amaro") e yam ("mare"). Tale teoria venne riportata in un'opera di san Girolamo tratta dall'Onomastica di Origene e Filone, che era però in pessime condizioni quando Girolamo la riscrisse; inoltre, dato che in ebraico l'aggettivo segue il sostantivo a cui è riferito, un composto di tali termini avrebbe dovuto essere yam mar, non mar yam. È riportata di frequente una leggera variazione sul tema, "mare di amarezza", nonché derivazioni simili basate su un solo termine, come "amareggiata", "addolorata" o "grande dolore" (da marar o marah) o "amarezza" (da merum, a sua volta sempre da marar, derivazione però grammaticalmente errata); va notato che è da queste radici che deriva il nome Mara.
Altre interpretazioni, sempre basate su termini ebraici, sono "guarita"] (etimologia incerta), "grassa" o "ben nutrita" (da mara), "signora" o "principessa" (da mari), "forte" o "che governa" (da marah), "desiderata per figlia" (etimologia incerta), "mirra" (da mor, anche se non è chiaro come tale termine possa essere identificato in Miryam), "mirra del mare" (da mor e yam), "signora del mare" (da mari e yam) e goccia del mare (da mar e yam). Quest'ultima venne riportata anche da san Girolamo e si ritrova anche in una manoscritto di Bamberga di fine del XIX secolo come stilla maris: come testimoniato da diversi studiosi (Varrone, Quintiliano, Aulo Gellio), quando i trascrittori latini scambiarono molte i con e, l'espressione divenne stella maris, "stella del mare", che resta una delle interpretazioni più diffuse del nome ed è tuttora uno dei titoli della Madonna.

"I nomi dei dodici apostoli sono questi: il primo, Simone detto Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo d’Alfeo e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, quello stesso che poi lo tradì".


SIMONE
Colui che ascolta
Deriva dal nome ebraico שִׁמְעוֹן (Shim'on), basato su שָׁמַע (shamá', "ascoltare"), portato da numerosi personaggi della Bibbia, che vuol dire "che ascolta" o "Egli ha ascoltato"; questo significato è testimoniato anche in Genesi 29,33, dove Lia, moglie di Giacobbe, ringrazia il Signore di averle fatto concepire Simeone dicendo "L'Eterno ha udito che io non ero amata, e perciò mi ha dato anche questo figlio"; alternativamente potrebbe significare anche "piccola iena". In greco, il nome venne adattato come Σῠμεών (Symeon), da cui il latino Symeon e l'italiano Simeone. Nel Nuovo Testamento, però, al suo posto venne adoperato un soprannome nativo greco, Σίμων (Simon), derivato dal termine σῖμος (simos, "dal naso camuso"), da cui l'odierno "Simone". Questo secondo nome è attestato per la prima volta nella letteratura da Pseudo-Igino nelle Fabulae, dove è il nome di uno dei giovani pirati trasformati in delfini da Dioniso.


PIETRO
La roccia
 Deriva dal nome greco Πετρος (Petros), passato in latino come Petrus, che vuol dire letteralmente "roccia", "pietra"; esso è la traduzione, usata nella maggioranza delle versioni del Nuovo Testamento, del nome Cefa, di origine aramaica e di identico significato, che era l'appellativo dato da Gesù (in Mt 16,13-20) all'apostolo Simone (poi noto come Simon Pietro o solo Pietro, appunto).
La figura di Pietro, considerato il primo Papa e venerato come santo dai cristiani, permise al nome di diffondersi in varie forme in tutto il mondo cristiano sin dai primi secoli, rafforzandosi poi ulteriormente grazie al culto di altri santi così chiamati.
In Inghilterra venne introdotto dai Normanni nella forma Piers, passata poi a Peres, che diede origine a diversi cognomi quali Pierce e Pearson, sostituita mano a mano da Peter a partire dal XV secolo.

ANDREA
Il virile
Proviene dal nome greco Ἀνδρέας (Andréas), derivato da ἀνήρ (anḗr), genitivo ἀνδρός (andrós), che indica l'uomo con riferimento alla sua mascolinità, contrapposto alla donna con la sua femminilità; in latino ha un corrispondente in vir, viri, mentre uomo nel significato di "genere umano" è homō, hominis in latino e ἄνθρωπος (ánthrōpos), ἀνθρώπου (anthrṓpou) in greco. Viene ricondotto anche ad ἀνδρεία (andréia), termine correlato che indica "forza", "valore", "coraggio", "virilità", "mascolinità".
Lo stesso elemento che compone il nome Andrea si ritrova anche in altri nomi, quali Androclo, Androgeo e Andronico – nomi di cui la forma greca originaria poteva anche costituire un ipocoristico – e anche Alessandro, Leandro, Lisandro e Cassandro. Per significato, inoltre, è analogo al nome Arsenio, di origine greca, nonché al desueto nome latino Mascula.
Il nome era anticamente molto usato dai pagani greci, grazie ai quali si sparse in Palestina, nel Vicino Oriente e in Egitto una volta che la cultura greca vi penetrò. Grazie alla venerazione verso sant'Andrea apostolo e vari altri santi, il nome ha goduto di ampia popolarità negli ambienti cristiani fin dai primi tempi, e in particolare nel Medioevo. La variante femminile inglese Andra è in uso solo dal XX secolo. Secondo l'ISTAT, è uno dei nomi maschili più utilizzati per i nuovi nati in Italia dell'inizio del XXI secolo, essendo stato il terzo nome più scelto negli anni dal 2004 al 2012 (con l'eccezione del 2009 in cui si attestò al quarto posto), mentre tra la popolazione adulta, risulta particolarmente frequente in Lombardia. Secondo altre statistiche sarebbe inoltre il nome più diffuso al mondo.

GIACOMO
Protetto da Dio
Deriva dal nome ebraico יעקב (Ya'ãqōb) che nella Genesi fu dato a Giacobbe, patriarca d'Israele, figlio di Isacco e Rebecca, nato in un parto gemellare dopo il fratello Esaù (Gen 25,25-26). Generalmente è interpretato come derivante da aqebh "tallone, calcagno" (perché Giacobbe era nato stringendo con la sua mano il tallone del fratello) o anche da aqab "soppiantare" (perché soppiantò Esaù nella primogenitura). In maniera più probabile è un nome teoforico, con l'aggiunta della radice qb, "proteggere" e significherebbe "Dio ha protetto".
Dal nome ebraico, attraverso l'adattamento greco Ιάκωβ (Iako'b) e latino Iacób deriva l'italiano Giacobbe. Nella Bibbia il nome compare successivamente nel Nuovo Testamento a designare due apostoli: Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo e Giacomo il Minore detto l'Alfeo. Per distinguerli dal patriarca, i loro nomi furono resi nella lingua greca come Ιάκωβος (Iakobos) e in quella latina Iacóbus o Iácobus, da cui poi le forme Giàcobo e Iacopo, ormai antiquate, e infine l'italiano Giacomo.

GIOVANNI
Dio ha concesso misericordia
Deriva dall'ebraico Yehōchānān (יהוחנן), composto da Yehō- (o Yah), abbreviazione di Yahweh (nome proprio di Dio nella tradizione ebraica, nominato però sempre attraverso il tetragramma (YHWH), e da chānān che significa "ebbe misericordia (o grazia)", e vuol dire letteralmente "Dio ha avuto misericordia (o grazia)" o "Dono di Dio". Dalla stessa radice di Giovanni derivano anche altri nomi, quali Ivano ed Evan. Il nome inglese Hank, in origine derivato da Giovanni (per via del diminutivo medievale Hankin) è ad oggi usato come diminutivo di Henry.
Anticamente veniva imposto ad un figlio lungamente atteso e nato quando ormai i genitori avevano perso la speranza di essere rallegrati dalla nascita di un bimbo.

FILIPPO
Il cavaliere
Deriva dal nome greco antico Φίλιππος (Philippos), composto da φιλος (philos, "amico", "amante") e ‘ιππος (hippos, "cavallo"), e vuol dire "amico dei cavalli", "amante dei cavalli" (per estensione "cavaliere" o anche "bellicoso").
Va ricordato, per maggior chiarezza, che la figura del cavallo si riscontra di frequente nell'antica onomastica greca (si pensi a nomi quali Ipparco, Ippocrate, Ippolito, Melanippo, Santippe e via dicendo), trattandosi di un animale particolarmente caro alla società greca dell'epoca classica.
Il nome appare nel Nuovo Testamento, portato dall'apostolo Filippo in primo luogo, e secondariamente da un diacono, Filippo, evangelizzatore della Samaria. Il nome inizialmente riscosse più successo fra i cristiani orientali, giungendo nell'Occidente durante il Medioevo; in quel periodo era piuttosto comune anche in Inghilterra, dove il suo uso calò successivamente, nel XVII secolo, dopo il tentativo d'invasione di Filippo II di Spagna, riprendendosi solo nel XIX secolo.
Latinizzato nella forma Philippus, il nome Filippo conosce diverse abbreviazioni o ipocoristici, anche se l'abbreviazione più nota a livello nazionale è quella in Pippo. La variante Lippo, dal canto suo, è più regionale e tipica della Toscana.

BARTOLOMEO
Il figlio dell'anziano
Deriva da Βαρθολομαιος (Bartholomaios), la forma greca di un nome aramaico (bar Talmay) che significa "figlio di Talmai" (il nome Talmai vuol dire "rugoso", "pieno di rughe"). È un nome di tradizione biblica: nel Nuovo Testamento è chiamato Bartolomeo uno degli apostoli di Gesù (nel Vangelo di Giovanni l'apostolo è chiamato "Natanaele", chiarendo che nel suo caso "Bartolomeo" non è che una specie di patronimico).
In Inghilterra il nome, nella forma Bartholomew, si diffuse durante il Medioevo per la venrerazione verso l'apostolo.

NATANAELE
Dio ha dato
Deriva dall'ebraico נְתַנְאֵל (Nethanel, Netan'el), che significa "Dio ha dato"; è quindi correlato etimologicamente ai prenomi Nathan e Gionata. È il nome di un personaggio del Nuovo Testamento, identificato spesso con l'apostolo Bartolomeo (il cui nome sarebbe stato Nathanael bar Tolomai, dove bar Tolomai, mutuato nel nome attuale Bartolomeo, significa "figlio di Talmai").
In inglese, la forma Nathaniel è in uso sin dalla Riforma Protestante, sostituendo sempre la forma Nathanael che pure è usata nella maggioranza delle versioni inglesi del Nuovo Testamento.

TOMMASO
Il gemello
Risale, tramite il greco Θωμας (Thomas) e il latino Thomas, al nome aramaico תָּאוֹמָא (Ta'oma' o Te'oma), che alla lettera vuol dire "gemello"; ha quindi significato analogo ai nomi Didimo e Gemino.
Si tratta di un nome di tradizione biblica, portato nel Nuovo Testamento dall'apostolo Tommaso, grazie al quale si diffuse in ambiti cristiani. Caso particolare è l'Inghilterra dove, prima della conquista, era usato solo come nome sacerdotale; importato dai normanni, divenne ben presto uno dei nomi più comuni, anche grazie alla figura di Tommaso Becket.

MATTEO
Il dono di Dio
Deriva dal nome ebraico מַתִּתְיָהוּ (Mattityahu) che, composto dai termini matath ("dono") e Yah (abbreviazione di "YHWH"), può essere tradotto come "dono di YHWH".
Latinizzato nella forma Matthaeus, sulla base dell'adattamento greco Ματθαίος (Matthaios), il nome Matteo condivide la stessa origine dei nomi Mattia, Maffeo e Mazzeo.

TADDEO
...
Deriva dal nome greco biblico Θαδδαιος (Thaddaios), latinizzato in Thaddaeus o Thaddeus e derivante a sua volta dall'aramaico Thaddai. Thaddai, a seconda delle interpretazioni, viene ricollegato ad una parola che significa "cuore" oppure al significato "colui che loda"; a sua volta l'aramaico Thaddai potrebbe essere l'unione dei nomi ebraici Thad e Lebbeo, il primo col significato di "magnanimo", "generoso", il secondo "coraggioso", "ardito"; potrebbe però anche trattarsi di una forma aramica di nomi greci come Teodoro o Teodosio. Addai è la variante siriaca di Thaddai, che riscontriamo in Taddeo di Edessa, discepolo prima di Tommaso e poi di Giuda Taddeo.

SAUL
Il desiderato
Deriva dall'ebraico שָׁאוּל (Sha'ul), e significato "richiesto", "domandato", "desiderato", lo stesso del nome spagnolo Rogelio. Va notato che la sua forma lituana, Saulius, è anche, più propriamente, la variante maschile di Saulė.
Il nome è di tradizione biblica: era infatti portato da Saul, re d'Israele prima di Davide, ed era anche il nome di san Paolo prima della sua conversione.

PAOLO
Il piccolo
Deriva dal latino Paulus, noto fin dall'epoca dell'antica Roma, trattandosi del cognomen romano della gens Aemilia. È tratto dall'omonimo aggettivo, paulus, che significa, in senso stretto, "di piccola quantità", "piccolo".
Considerando il contesto dei cognomina romani, è possibile che, in origine, Paulus venisse imposto o al figlio più giovane (ovvero "il più piccolo") della famiglia oppure al più piccolo o più giovane fra due membri omonimi dello stesso nucleo familiare (ad esempio nel caso della tradizionale omonimia fra nonno e nipote o, talvolta, anche fra padre e figlio o ancora tra fratelli, e via dicendo). La stessa logica, per maggior chiarezza, fa da sfondo a tutta una serie di cognomina latini, quali ad esempio Primo, Secondo, Terzo, Maggiore, Massimo, Magno, e così via.
Nel corso dei secoli l'accezione di questo termine si estese fino a significare anche "umile". Questo significato, in particolare, fa da sfondo alla popolarità del nome Paolo fra i primi cristiani, accentuata poi notevolmente dalla figura di san Paolo (il cui nome originale era Saul); il culto verso i numerosi santi così chiamati ha poi sostenuto la diffusione del nome, permettendogli anche di resistere al dominio longobardo, durante il quale gran parte dei nomi latini andò fuori uso. Per quanto riguarda l'Inghilterra, era piuttosto raro durante il Medioevo, cominciando ad avere una diffusione degna di nota solo a partire dal XVII secolo. Da Paolo deriva anche il cognome Paul.

GIUDA
L'uomo d'onore
È un nome di origine aramaica, basato su yehudah, che significa "onorato", "lodato".
Nella Bibbia era il nome di uno dei dodici figli di Giacobbe e Lia, capo della tribù omonima, e da cui discesero Re Davide (i cui nipoti regnarono sul regno di Giuda) e Gesù. Era inoltre il nome dell'Iscariota, l'apostolo che tradì Gesù, e di diversi altri personaggi. La variante inglese Jude venne usata per distinguere Giuda Taddeo da Giuda Iscariota. Proprio a causa di quest'ultimo, in Italia il nome non conobbe grande popolarità.

giovedì 16 aprile 2015

Voi chi dite che io sia?

Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Matteo 16,15-20

Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.
Marco 8,29-30

Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio». Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.
Luca 9,20-21