Il lemma "tempio" deriva dal latino templum che significa recinto sacro;
all'origine del termine vi è una radice indoeuropea comune anche al
greco τέμενος (temenos), vocabolo che deriva dal verbo τέμνωv (témnō), cioè "io taglio".
Il tempio, in senso generale, è lo spazio riservato al culto di una divinità, ritenuto la sede della divinità stessa. Ancor meglio, è l'edificio sacro, consacrato al culto della divinità e in cui essa dimora.
E' bene ricordare che per i cristiani il tempio di Dio è in realtà non tanto un edificio o uno spazio sacro, quanto piuttosto la viva comunità dei fedeli e ciascun fedele che ad essa appartiene.
Il tempio cristiano è l'uomo stesso ricondotto a Dio tramite il Cristo.
Non
sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se
uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il
tempio di Dio, che siete voi.
1 Corinzi 3,16-17
Una
chiara allusione a questo nuovo tempio umano si ha nelle parole stesse
di Gesù quando Egli, riferendosi al suo stesso corpo come tempio di Dio,
ne prefigura la distruzione e la successiva risurrezione.
Rispose
loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò
risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato
costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?».
Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando
poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva
detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Giovanni 2,19-22
Se
il tempio inteso da Gesù, ossia il suo corpo, fu distrutto e risorse,
esattamente come Egli aveva annunciato, anche quello di Salomone,
il tempio di pietra, subì nel 70 d.C. la distruzione per opera dei
romani sotto l'impero di Tito. Simbolo questa distruzione di un
passaggio definitivamente avvenuto da un tempio di pietra ad uno di
carne e di spirito.
Già
nel vangelo di Matteo si era mostrato un segno importante di questo
cambiamento templare: durante la morte di Gesù il velo del tempio (che
cela il Santo dei Santi) si squarcia dall'alto verso il basso, e le
rocce si spezzano. E' il nuovo tempio che si rivela.
Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono.
Matteo 27,51
Dio non risiede più in un luogo che lo nasconde agli occhi degli uomini, non più dietro un velo, Dio si svela, svela il
suo volto. Dio non si accontenta di bun tempio di rocce e pietre, lo
vuole ora di carne e di ossa. Vuole essere adorato non più in un sol
luogo, ma in spirito e verità. Ovunque.
Ora, il tempio di Gerusalemme il cui velo si squarcia con la crocifissione di Gesù e le cui mura vengono demolite dai romani nel 70 d.C. non
finisce semplicemente, ma "esplode", per così dire, ed esplode in una
diaspora di enormi proporzioni: da uno diventa molti. Il Tempio Gesù, il
tempio vivente di Gerusalemme, muore sì con la croce, ma risorge e si moltiplica, come un seme che muore e che dà frutto,
ricreandosi nella chiesa, suo corpo mistico, e in ogni uomo che si
converte a Lui e che, facendosi figlio di Dio nella volontà e nella
salvezza amorosa del Padre, diventa dimora dello Spirito Santo, e
quindi, ancora una volta, "tempio".
Dalla
distruzione del tempio di Salomone non si ha più dunque un solo tempio,
ma una moltitudine di templi, o meglio, si ha il tempio reso vivo e per
una moltitudine di volte. Una moltitudine di templi in carne ed ossa.
La
nuova templarità cristiana è particolarmente evidente durante
l'eucarestia, momento in cui il Corpo di Cristo, la divinità stessa
adorata nella sua tangibile presenza fisica nel sancta sanctorum dei
cristiani, cioè nel tabernacolo, viene dato da mangiare ai fedeli. I
cristiani, mangiando il pane eucaristico, diventano anche fisicamente
altrettanti tabernacoli viventi di Dio.
Dio non ha dunque semplicemente "posto la sua tenda in mezzo agli uomini", ma con il Cristo ha addirittura "posto la sua tenda (tabernacolo) negli uomini". Ha fatto dell'uomo stesso il suo tabernacolo.
Nell'incarnazione di Dio, avvenuta con Gesù, Dio
si è unito all'uomo in una comunione perfetta ed eterna, e ha fatto in
tal modo dell'uomo un figlio, un essere che partecipa della sua
divinità. E' l'uomo stesso pertanto ad essere diventato in Cristo il Tempio di Dio, il Santo dei Santi, la dimora eletta del Creatore.
Gli
replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri
hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il
luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto
il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il
Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che
conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma
è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il
Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è
spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo):
quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io,
che ti parlo».
Giovanni 4,19-26
Nell'ultima cena, prima della sua
passione, Gesù raduna i suoi attorno ad una tavola. Nasce il rito il
rito della Pasqua cristiana.
Il
primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli
dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la
Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il
Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei
discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e
prepararono la Pasqua.
Matteo 26,17-19
Il
primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi
discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu
possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo
loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca
d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il
Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua
con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande
sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli
andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e
prepararono la Pasqua.
Marco 14,12-16
Venne
il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la Pasqua. Gesù
mandò Pietro e Giovanni dicendo: «Andate a preparare per noi, perché
possiamo mangiare la Pasqua». Gli chiesero: «Dove vuoi che prepariamo?».
Ed egli rispose loro: «Appena entrati in città, vi verrà incontro un
uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo nella casa in cui entrerà.
Direte al padrone di casa: “Il Maestro ti dice: Dov’è la stanza in cui
posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al
piano superiore una sala, grande e arredata; lì preparate». Essi
andarono e trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Luca 22,7-13
Gesù istituisce la santa eucarestia [εὐχαρίστω:
ringraziamento], e formula il rito di comunione che è il momento
centrale di tutta la vita cristiana, il momento in cui si verifica
l'unione perfetta tra Dio e l'Uomo. Gesù, alla maniera di Melchisedek,
offre del pane e del vino ai suoi dicepoli.
Intanto Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:
«Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
Genesi 14,18-20
Ora,
mentre essi
mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e
lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio
corpo». Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro,
dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza,
versato per molti, in remissione dei peccati. Io
vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al
giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio».
Matteo 26,26-29
Il rito è costituito dunque dalla
condivisione del pane e del vino, di un cibo che semplice, essenziale e
quotidiano. Le parole di Gesù fanno capire che quel pane è il suo corpo,
cioè la sua carne, è il suo corpo diventato pane, e che quel vino,
parimenti, è il suo sangue diventato vino.
L'altare di una chiesa è dunque la mensa dell'ultima cena, il tavolo presso il quale siedono e mangiano inseme Dio e l'uomo.
Ma l'altare cristiano è anche la mangiatoia di Betlemme.
Betlemme in ebraico vuol dire "casa del pane" e in arabo "casa della carne". E' a Betlemme che il piccolo Gesù appena nato è deposto in una mangiatoia, in una mensa per gli animali.
Già alla nascita dunque, Gesù è simbolicamente presentato al mondo come qualcosa da mangiare, come un pane, un pane che è però anche carne.
Dunque l'altare cristiano, che è mensa dell'ultima cena, è anche il presepe (mangiatoia) di Betlemme.
L'altare cristiano condivide con quello pagano, con l'ara, la funzione sacrificale.
E' vero, l'altare ospita un sacrificio,
quello sempre rinnovato di Gesù Agnello Pasquale. E però non è un
sacrificio a senso unico, com'era quello dei sacerdoti pagani, non è il
sacrificio dell'agnello che l'uomo immola alla divinità; è piuttosto il
sacrificio dell'Agnello di Dio che viene immolato all'Umanità e a Dio
stesso in un solo atto.
E' Dio che compie il sacrificio per
l'uomo, e in Gesù-uomo anche viceversa; l'uomo a questo Sacrificio
divino si aggrappa, si innesta cercando la salvezza che è data solo dal
sacrificio perfetto. Dio per l'Uomo e l'Uomo per Dio.
Per questa nuova funzione che ha
l'altare cristiano è bello che la chiesa abbia voluto infine rivolgere
la mensa/greppia del sacrificio verso tutti i fedeli, perchè tutti i
fedeli cristiani sono invitati idealmente a sedere intorno alla mensa
del cenacolo, insieme con Gesù. E tutti sono chiamati a recarsi alla
mangiatoia di Betlemme per contemplare il Dio che si è fatto carne. Il
Dio che ogni giorno ad ogni messa si fa pane e si fa vino.
«Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.»
dal Salmo di Davide