martedì 2 giugno 2015

QUESTO E' IL MIO CORPO

di D. Giuseppe Pelizza SdB

Gesù, sapendo che era ormai giunta la sua ora, raccolse i suoi per il banchetto pasquale. Mentre cenava, prese del pane e disse:
 «Questo è il mio corpo».
Cosa intendeva dire esattamente con queste parole? Anzitutto, il contesto grammaticale ebraico non prevede l’uso del verbo essere, per cui quando si indica un oggetto o una qualità e la si riferisce ad una persona, significa che quella cosa o quella qualità è identica alla persona. Così Giovanni – buono, significa che Giovanni è buono; pane – salato, corrisponde all’italiano: il pane è salato. Vi è, dunque, in ebraico, un’identificazione immediata fra il soggetto e il suo attributo, o fra due soggetti differenti. L’assenza del verbo essere non solo non toglie nulla alla forza della frase, ma, anzi, ne rafforza ancor più il senso. Quando Gesù disse: «Questo è il mio corpo», intendeva proprio dire che quel pane, in quel momento stesso era il suo corpo, e lo sarebbe stato finché sarebbe rimasto pane.
La lingua latina, usata nella Chiesa per la celebrazione liturgica, a tal proposito è molto chiara. L’espressione utilizzata nella consacrazione del pane dice: hoc est enim, dove la parola enim viene utilizzata per sottolineare con forza l’identità del pane con il Corpo di Cristo. Questo uso era comune nella lingua latina, tanto che scrittori come Plauto e Cicerone lo usavano frequentemente. L’italiano avrebbe potuto tradurre: «Questo è veramente il mio corpo», ma per ragioni di stile linguistico, si è preferito alleggerire la frase, lasciando solo: «Questo è il mio corpo».
Risolto, dunque, questo problema di carattere grammaticale, vediamo cosa potesse intendere Gesù con questa frase.
Anzitutto, va chiarito che la frase non indica la presenza del Suo corpo nel pane. Questo può forse sembrare strano, ma in questo contesto ogni parola ha un peso di particolare importanza. Oggi noi non diamo molta importanza alle parole che usiamo ed è forse proprio per questa ragione che non ci capiamo più. Ma qui non possiamo permetterci il lusso di parlare come se fossimo ad un dibattito televisivo.

Gesù dicendo che il pane è il suo corpo, non intende dire che il suo corpo è nel pane, come se il pane contenesse, come una scatola, un qualcosa che chiamiamo corpo di Cristo.
Gesù dice che il pane è il Suo corpo. Non esiste più ciò che prima chiamavamo pane, esiste un’altra realtà, che è il Suo corpo, e che ha sostituito totalmente la realtà precedente che conoscevamo come pane. Questo è quanto ci dice la fede.

La mente umana ha cercato di comprendere questa verità, unica ed esclusiva in tutta la storia, dicendo che la sostanza del pane si è mutata totalmente nella sostanza del corpo di Cristo. Le apparenze esterne sono rimaste le medesime: forma, colore, gusto, ma la sostanza a cui ineriscono, la sostanza del pane, questa è stata mutata.
Anche l’uomo muta col tempo: cambia il colore dei capelli, la pelle e anche se qualcuno, con il lifting, cerca di spostare l’orologio dell’invecchiamento, queste mutazioni avvengono in tutto il suo corpo. Tuttavia, l’uomo avverte di essere sempre la stessa realtà, di avere la medesima coscienza di quando era bambino. Tanto che la psicologia ci insegna che i problemi irrisolti si trascinano per tutta la vita. Dunque, nell’uomo vi è una mutazione esterna ma un permanere della consapevolezza della propria realtà.

Nel caso dell’Eucaristia abbiamo, invece, il permanere del dato esterno (colore, forma e gusto del pane) ma un mutamento della realtà a cui questi dati si riferiscono: la sostanza del pane si muta nella sostanza del corpo di Cristo.
Sostanza che noi non possiamo vedere, proprio come non possiamo avere nessuna esperienza della coscienza dell’altro o della sostanza della sua identità. Possiamo solo riconoscere un altro dalla somiglianza fisica ma mai secondo la percezione che lui ha di se stesso nella sua coscienza.
È il dato fisico dell’altro che ci dice che lui è lui e non un’altra persona. Ma questo dato fisico, per quanto importante – e oggi esagerato – non è mai l’identità della sua persona perché questa sempre sfugge all’esperienza che possiamo avere.
Nell’Eucaristia, Gesù non ci consegna la fisicità materiale del suo corpo – ora pienamente trasfigurato – (e quale poi? Quello di bambino in braccio a sua madre, quello di adolescente nel Tempio, o quello di giovane predicatore?), ma la sostanza del suo corpo, ricevuto totalmente da Maria, che gli ha permesso di condurre la sua esistenza terrena.
Inoltre, secondo il suo intendimento ebraico, quando Gesù parlava di corpo, intendeva tutta la realtà umana fatta di volontà, emozioni, esperienza, storia e mistero.
Dicendo: «Questo è il mio corpo», indicava la sua persona nella completezza della sua realtà, tanto storica quanto spirituale.
Ma questo è un altro aspetto su cui indagheremo, a Dio piacendo, la prossima volta. Per ora, soffermiamoci a contemplare questa realtà della presenza eucaristica di Gesù vero, nato dalla Vergine madre e a noi donato nel consumarsi dei giorni.
                                                                                               



sabato 9 maggio 2015

La scelta di Pietro

Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.
La barca intanto distava gia qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «E' un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».
Matteo 14:22-36
 E' a Pietro, un uomo semplice e senza doti particolari che Gesù affida la sua Chiesa. Un uomo che dubita, ma che non fuggirà dalla croce, un uomo che rinnega, non un grande del pensiero, ma un pescatore, Simone detto "cefa" ("roccia "). Pietro, infatti, è l'umanità che si assume il compito gravoso di condurre la barca con Gesù (la chiesa) tra le tempeste della storia.

domenica 26 aprile 2015

I nomi

GESU'
Dio salvatore
E' l'adattamento italiano del nome aramaico יֵשׁוּעַ (Yeshu'a), passato in greco biblico come Ἰησοῦς (Iēsoûs) e in latino biblico come Iesus; si tratta di una tarda traduzione aramaica del nome ebraico יְהוֹשֻׁעַ (Yehoshu'a), ovvero Giosuè, che ha il significato di "YHWH è salvezza", "YHWH salva". Questo nome è noto a livello internazionale per essere stato portato da Gesù, detto "il Cristo", figura centrale del Nuovo Testamento, venerato come il figlio di Dio dai cristiani e considerato un importante profeta anche dai musulmani.

MARIA
L'amore di Dio
E' la forma latina del greco biblico Μαρία (María), a sua volta mutuato dall'ebraico מִרְיָם (Miryam)- tale nome è passato in greco anche come Μαριαμ (Mariam), dove le due forme erano intercambiabili, giungendo poi in italiano come Miriam.
Sono numerose le ipotesi riguardanti la sua etimologia e il suo significato. La teoria più accreditata propone un'origine egizia, basata su mry o mr (rispettivamente "amata" e "amore"). Tale teoria è supportata anche dal fatto che l'unico personaggio che porta questo nome, nell'Antico Testamento, è la sorella di Mosè Miriam, nata proprio in Egitto. Una teoria sviluppata all'inizio del XX secolo accosta al termine egizio il nome di Yam (un dio del Levante, correlabile a YHWH), dando il significato di "amata da YHWH" o "che ama YHWH".
Sono però numerose e propugnate da diversi studiosi altre teorie che vedono Miryam come un nome originatosi direttamente all'interno della lingua ebraica. Wilhelm Gesenius fu il primo a considerarlo un composto di meri e am ("la loro ribellione"); più avanti abbandonò tale teoria, che venne comunque portata avanti da alcuni suoi studenti. È stata proposta anche la derivazione dal solo termine meri, quindi "ribellione".
Degna di nota, sebbene probabilmente errata, è l'interpretazione che darebbe a Maria il significato di "mare amaro", come composto di mar ("amaro") e yam ("mare"). Tale teoria venne riportata in un'opera di san Girolamo tratta dall'Onomastica di Origene e Filone, che era però in pessime condizioni quando Girolamo la riscrisse; inoltre, dato che in ebraico l'aggettivo segue il sostantivo a cui è riferito, un composto di tali termini avrebbe dovuto essere yam mar, non mar yam. È riportata di frequente una leggera variazione sul tema, "mare di amarezza", nonché derivazioni simili basate su un solo termine, come "amareggiata", "addolorata" o "grande dolore" (da marar o marah) o "amarezza" (da merum, a sua volta sempre da marar, derivazione però grammaticalmente errata); va notato che è da queste radici che deriva il nome Mara.
Altre interpretazioni, sempre basate su termini ebraici, sono "guarita"] (etimologia incerta), "grassa" o "ben nutrita" (da mara), "signora" o "principessa" (da mari), "forte" o "che governa" (da marah), "desiderata per figlia" (etimologia incerta), "mirra" (da mor, anche se non è chiaro come tale termine possa essere identificato in Miryam), "mirra del mare" (da mor e yam), "signora del mare" (da mari e yam) e goccia del mare (da mar e yam). Quest'ultima venne riportata anche da san Girolamo e si ritrova anche in una manoscritto di Bamberga di fine del XIX secolo come stilla maris: come testimoniato da diversi studiosi (Varrone, Quintiliano, Aulo Gellio), quando i trascrittori latini scambiarono molte i con e, l'espressione divenne stella maris, "stella del mare", che resta una delle interpretazioni più diffuse del nome ed è tuttora uno dei titoli della Madonna.

"I nomi dei dodici apostoli sono questi: il primo, Simone detto Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo d’Alfeo e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, quello stesso che poi lo tradì".


SIMONE
Colui che ascolta
Deriva dal nome ebraico שִׁמְעוֹן (Shim'on), basato su שָׁמַע (shamá', "ascoltare"), portato da numerosi personaggi della Bibbia, che vuol dire "che ascolta" o "Egli ha ascoltato"; questo significato è testimoniato anche in Genesi 29,33, dove Lia, moglie di Giacobbe, ringrazia il Signore di averle fatto concepire Simeone dicendo "L'Eterno ha udito che io non ero amata, e perciò mi ha dato anche questo figlio"; alternativamente potrebbe significare anche "piccola iena". In greco, il nome venne adattato come Σῠμεών (Symeon), da cui il latino Symeon e l'italiano Simeone. Nel Nuovo Testamento, però, al suo posto venne adoperato un soprannome nativo greco, Σίμων (Simon), derivato dal termine σῖμος (simos, "dal naso camuso"), da cui l'odierno "Simone". Questo secondo nome è attestato per la prima volta nella letteratura da Pseudo-Igino nelle Fabulae, dove è il nome di uno dei giovani pirati trasformati in delfini da Dioniso.


PIETRO
La roccia
 Deriva dal nome greco Πετρος (Petros), passato in latino come Petrus, che vuol dire letteralmente "roccia", "pietra"; esso è la traduzione, usata nella maggioranza delle versioni del Nuovo Testamento, del nome Cefa, di origine aramaica e di identico significato, che era l'appellativo dato da Gesù (in Mt 16,13-20) all'apostolo Simone (poi noto come Simon Pietro o solo Pietro, appunto).
La figura di Pietro, considerato il primo Papa e venerato come santo dai cristiani, permise al nome di diffondersi in varie forme in tutto il mondo cristiano sin dai primi secoli, rafforzandosi poi ulteriormente grazie al culto di altri santi così chiamati.
In Inghilterra venne introdotto dai Normanni nella forma Piers, passata poi a Peres, che diede origine a diversi cognomi quali Pierce e Pearson, sostituita mano a mano da Peter a partire dal XV secolo.

ANDREA
Il virile
Proviene dal nome greco Ἀνδρέας (Andréas), derivato da ἀνήρ (anḗr), genitivo ἀνδρός (andrós), che indica l'uomo con riferimento alla sua mascolinità, contrapposto alla donna con la sua femminilità; in latino ha un corrispondente in vir, viri, mentre uomo nel significato di "genere umano" è homō, hominis in latino e ἄνθρωπος (ánthrōpos), ἀνθρώπου (anthrṓpou) in greco. Viene ricondotto anche ad ἀνδρεία (andréia), termine correlato che indica "forza", "valore", "coraggio", "virilità", "mascolinità".
Lo stesso elemento che compone il nome Andrea si ritrova anche in altri nomi, quali Androclo, Androgeo e Andronico – nomi di cui la forma greca originaria poteva anche costituire un ipocoristico – e anche Alessandro, Leandro, Lisandro e Cassandro. Per significato, inoltre, è analogo al nome Arsenio, di origine greca, nonché al desueto nome latino Mascula.
Il nome era anticamente molto usato dai pagani greci, grazie ai quali si sparse in Palestina, nel Vicino Oriente e in Egitto una volta che la cultura greca vi penetrò. Grazie alla venerazione verso sant'Andrea apostolo e vari altri santi, il nome ha goduto di ampia popolarità negli ambienti cristiani fin dai primi tempi, e in particolare nel Medioevo. La variante femminile inglese Andra è in uso solo dal XX secolo. Secondo l'ISTAT, è uno dei nomi maschili più utilizzati per i nuovi nati in Italia dell'inizio del XXI secolo, essendo stato il terzo nome più scelto negli anni dal 2004 al 2012 (con l'eccezione del 2009 in cui si attestò al quarto posto), mentre tra la popolazione adulta, risulta particolarmente frequente in Lombardia. Secondo altre statistiche sarebbe inoltre il nome più diffuso al mondo.

GIACOMO
Protetto da Dio
Deriva dal nome ebraico יעקב (Ya'ãqōb) che nella Genesi fu dato a Giacobbe, patriarca d'Israele, figlio di Isacco e Rebecca, nato in un parto gemellare dopo il fratello Esaù (Gen 25,25-26). Generalmente è interpretato come derivante da aqebh "tallone, calcagno" (perché Giacobbe era nato stringendo con la sua mano il tallone del fratello) o anche da aqab "soppiantare" (perché soppiantò Esaù nella primogenitura). In maniera più probabile è un nome teoforico, con l'aggiunta della radice qb, "proteggere" e significherebbe "Dio ha protetto".
Dal nome ebraico, attraverso l'adattamento greco Ιάκωβ (Iako'b) e latino Iacób deriva l'italiano Giacobbe. Nella Bibbia il nome compare successivamente nel Nuovo Testamento a designare due apostoli: Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo e Giacomo il Minore detto l'Alfeo. Per distinguerli dal patriarca, i loro nomi furono resi nella lingua greca come Ιάκωβος (Iakobos) e in quella latina Iacóbus o Iácobus, da cui poi le forme Giàcobo e Iacopo, ormai antiquate, e infine l'italiano Giacomo.

GIOVANNI
Dio ha concesso misericordia
Deriva dall'ebraico Yehōchānān (יהוחנן), composto da Yehō- (o Yah), abbreviazione di Yahweh (nome proprio di Dio nella tradizione ebraica, nominato però sempre attraverso il tetragramma (YHWH), e da chānān che significa "ebbe misericordia (o grazia)", e vuol dire letteralmente "Dio ha avuto misericordia (o grazia)" o "Dono di Dio". Dalla stessa radice di Giovanni derivano anche altri nomi, quali Ivano ed Evan. Il nome inglese Hank, in origine derivato da Giovanni (per via del diminutivo medievale Hankin) è ad oggi usato come diminutivo di Henry.
Anticamente veniva imposto ad un figlio lungamente atteso e nato quando ormai i genitori avevano perso la speranza di essere rallegrati dalla nascita di un bimbo.

FILIPPO
Il cavaliere
Deriva dal nome greco antico Φίλιππος (Philippos), composto da φιλος (philos, "amico", "amante") e ‘ιππος (hippos, "cavallo"), e vuol dire "amico dei cavalli", "amante dei cavalli" (per estensione "cavaliere" o anche "bellicoso").
Va ricordato, per maggior chiarezza, che la figura del cavallo si riscontra di frequente nell'antica onomastica greca (si pensi a nomi quali Ipparco, Ippocrate, Ippolito, Melanippo, Santippe e via dicendo), trattandosi di un animale particolarmente caro alla società greca dell'epoca classica.
Il nome appare nel Nuovo Testamento, portato dall'apostolo Filippo in primo luogo, e secondariamente da un diacono, Filippo, evangelizzatore della Samaria. Il nome inizialmente riscosse più successo fra i cristiani orientali, giungendo nell'Occidente durante il Medioevo; in quel periodo era piuttosto comune anche in Inghilterra, dove il suo uso calò successivamente, nel XVII secolo, dopo il tentativo d'invasione di Filippo II di Spagna, riprendendosi solo nel XIX secolo.
Latinizzato nella forma Philippus, il nome Filippo conosce diverse abbreviazioni o ipocoristici, anche se l'abbreviazione più nota a livello nazionale è quella in Pippo. La variante Lippo, dal canto suo, è più regionale e tipica della Toscana.

BARTOLOMEO
Il figlio dell'anziano
Deriva da Βαρθολομαιος (Bartholomaios), la forma greca di un nome aramaico (bar Talmay) che significa "figlio di Talmai" (il nome Talmai vuol dire "rugoso", "pieno di rughe"). È un nome di tradizione biblica: nel Nuovo Testamento è chiamato Bartolomeo uno degli apostoli di Gesù (nel Vangelo di Giovanni l'apostolo è chiamato "Natanaele", chiarendo che nel suo caso "Bartolomeo" non è che una specie di patronimico).
In Inghilterra il nome, nella forma Bartholomew, si diffuse durante il Medioevo per la venrerazione verso l'apostolo.

NATANAELE
Dio ha dato
Deriva dall'ebraico נְתַנְאֵל (Nethanel, Netan'el), che significa "Dio ha dato"; è quindi correlato etimologicamente ai prenomi Nathan e Gionata. È il nome di un personaggio del Nuovo Testamento, identificato spesso con l'apostolo Bartolomeo (il cui nome sarebbe stato Nathanael bar Tolomai, dove bar Tolomai, mutuato nel nome attuale Bartolomeo, significa "figlio di Talmai").
In inglese, la forma Nathaniel è in uso sin dalla Riforma Protestante, sostituendo sempre la forma Nathanael che pure è usata nella maggioranza delle versioni inglesi del Nuovo Testamento.

TOMMASO
Il gemello
Risale, tramite il greco Θωμας (Thomas) e il latino Thomas, al nome aramaico תָּאוֹמָא (Ta'oma' o Te'oma), che alla lettera vuol dire "gemello"; ha quindi significato analogo ai nomi Didimo e Gemino.
Si tratta di un nome di tradizione biblica, portato nel Nuovo Testamento dall'apostolo Tommaso, grazie al quale si diffuse in ambiti cristiani. Caso particolare è l'Inghilterra dove, prima della conquista, era usato solo come nome sacerdotale; importato dai normanni, divenne ben presto uno dei nomi più comuni, anche grazie alla figura di Tommaso Becket.

MATTEO
Il dono di Dio
Deriva dal nome ebraico מַתִּתְיָהוּ (Mattityahu) che, composto dai termini matath ("dono") e Yah (abbreviazione di "YHWH"), può essere tradotto come "dono di YHWH".
Latinizzato nella forma Matthaeus, sulla base dell'adattamento greco Ματθαίος (Matthaios), il nome Matteo condivide la stessa origine dei nomi Mattia, Maffeo e Mazzeo.

TADDEO
...
Deriva dal nome greco biblico Θαδδαιος (Thaddaios), latinizzato in Thaddaeus o Thaddeus e derivante a sua volta dall'aramaico Thaddai. Thaddai, a seconda delle interpretazioni, viene ricollegato ad una parola che significa "cuore" oppure al significato "colui che loda"; a sua volta l'aramaico Thaddai potrebbe essere l'unione dei nomi ebraici Thad e Lebbeo, il primo col significato di "magnanimo", "generoso", il secondo "coraggioso", "ardito"; potrebbe però anche trattarsi di una forma aramica di nomi greci come Teodoro o Teodosio. Addai è la variante siriaca di Thaddai, che riscontriamo in Taddeo di Edessa, discepolo prima di Tommaso e poi di Giuda Taddeo.

SAUL
Il desiderato
Deriva dall'ebraico שָׁאוּל (Sha'ul), e significato "richiesto", "domandato", "desiderato", lo stesso del nome spagnolo Rogelio. Va notato che la sua forma lituana, Saulius, è anche, più propriamente, la variante maschile di Saulė.
Il nome è di tradizione biblica: era infatti portato da Saul, re d'Israele prima di Davide, ed era anche il nome di san Paolo prima della sua conversione.

PAOLO
Il piccolo
Deriva dal latino Paulus, noto fin dall'epoca dell'antica Roma, trattandosi del cognomen romano della gens Aemilia. È tratto dall'omonimo aggettivo, paulus, che significa, in senso stretto, "di piccola quantità", "piccolo".
Considerando il contesto dei cognomina romani, è possibile che, in origine, Paulus venisse imposto o al figlio più giovane (ovvero "il più piccolo") della famiglia oppure al più piccolo o più giovane fra due membri omonimi dello stesso nucleo familiare (ad esempio nel caso della tradizionale omonimia fra nonno e nipote o, talvolta, anche fra padre e figlio o ancora tra fratelli, e via dicendo). La stessa logica, per maggior chiarezza, fa da sfondo a tutta una serie di cognomina latini, quali ad esempio Primo, Secondo, Terzo, Maggiore, Massimo, Magno, e così via.
Nel corso dei secoli l'accezione di questo termine si estese fino a significare anche "umile". Questo significato, in particolare, fa da sfondo alla popolarità del nome Paolo fra i primi cristiani, accentuata poi notevolmente dalla figura di san Paolo (il cui nome originale era Saul); il culto verso i numerosi santi così chiamati ha poi sostenuto la diffusione del nome, permettendogli anche di resistere al dominio longobardo, durante il quale gran parte dei nomi latini andò fuori uso. Per quanto riguarda l'Inghilterra, era piuttosto raro durante il Medioevo, cominciando ad avere una diffusione degna di nota solo a partire dal XVII secolo. Da Paolo deriva anche il cognome Paul.

GIUDA
L'uomo d'onore
È un nome di origine aramaica, basato su yehudah, che significa "onorato", "lodato".
Nella Bibbia era il nome di uno dei dodici figli di Giacobbe e Lia, capo della tribù omonima, e da cui discesero Re Davide (i cui nipoti regnarono sul regno di Giuda) e Gesù. Era inoltre il nome dell'Iscariota, l'apostolo che tradì Gesù, e di diversi altri personaggi. La variante inglese Jude venne usata per distinguere Giuda Taddeo da Giuda Iscariota. Proprio a causa di quest'ultimo, in Italia il nome non conobbe grande popolarità.

giovedì 16 aprile 2015

Voi chi dite che io sia?

Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Matteo 16,15-20

Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.
Marco 8,29-30

Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio». Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.
Luca 9,20-21

domenica 5 aprile 2015

giovedì 2 aprile 2015

Dio si fa servo

"Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi." 
(Gv. 13,3-15)

venerdì 6 marzo 2015

Il tempio cristiano

Il lemma "tempio" deriva dal latino templum che significa recinto sacro; all'origine del termine vi è una radice indoeuropea comune anche al greco τέμενος (temenos), vocabolo che deriva dal verbo τέμνωv (témnō), cioè "io taglio". 
Il tempio, in senso generale, è lo spazio riservato al culto di una divinità, ritenuto la sede della divinità stessa. Ancor meglio, è l'edificio sacro, consacrato al culto della divinità e in cui essa dimora.
E' bene ricordare che per i cristiani il tempio di Dio è in realtà non tanto un edificio o uno spazio sacro, quanto piuttosto la viva comunità dei fedeli e ciascun fedele che ad essa appartiene. 
Il tempio cristiano è l'uomo stesso ricondotto a Dio tramite il Cristo.
Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
1 Corinzi 3,16-17
Una chiara allusione a questo nuovo tempio umano si ha nelle parole stesse di Gesù quando Egli, riferendosi al suo stesso corpo come tempio di Dio, ne prefigura la distruzione e la successiva risurrezione.
Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Giovanni 2,19-22
Se il tempio inteso da Gesù, ossia il suo corpo, fu distrutto e risorse, esattamente come Egli aveva annunciato, anche quello di Salomone, il tempio di pietra, subì nel 70 d.C. la distruzione per opera dei romani sotto l'impero di Tito. Simbolo questa distruzione di un passaggio definitivamente avvenuto da un tempio di pietra ad uno di carne e di spirito.

Già nel vangelo di Matteo si era mostrato un segno importante di questo cambiamento templare: durante la morte di Gesù il velo del tempio (che cela il Santo dei Santi) si squarcia dall'alto verso il basso, e le rocce si spezzano. E' il nuovo tempio che si rivela. 
Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono.
Matteo 27,51
Dio non risiede più in un luogo che lo nasconde agli occhi degli uomini, non più dietro un velo, Dio si svela, svela il suo volto. Dio non si accontenta di bun tempio di rocce e pietre, lo vuole ora di carne e di ossa. Vuole essere adorato non più in un sol luogo, ma in spirito e verità. Ovunque.

Ora, il tempio di Gerusalemme il cui velo si squarcia con la crocifissione di Gesù e le cui mura vengono demolite dai romani nel 70 d.C. non finisce semplicemente, ma "esplode", per così dire, ed esplode in una diaspora di enormi proporzioni: da uno diventa molti. Il Tempio Gesù, il tempio vivente di Gerusalemme, muore sì con la croce, ma risorge e si moltiplica, come un seme che muore e che dà frutto, ricreandosi nella chiesa, suo corpo mistico, e in ogni uomo che si converte a Lui e che, facendosi figlio di Dio nella volontà e nella salvezza amorosa del Padre, diventa dimora dello Spirito Santo, e quindi, ancora una volta, "tempio".

Dalla distruzione del tempio di Salomone non si ha più dunque un solo tempio, ma una moltitudine di templi, o meglio, si ha il tempio reso vivo e per una moltitudine di volte. Una moltitudine di templi in carne ed ossa.

La nuova templarità cristiana è particolarmente evidente  durante l'eucarestia, momento in cui il Corpo di Cristo, la divinità stessa adorata nella sua tangibile presenza fisica nel sancta sanctorum dei cristiani, cioè nel tabernacolo, viene dato da mangiare ai fedeli. I cristiani, mangiando il pane eucaristico, diventano anche fisicamente altrettanti tabernacoli viventi di Dio. 
Dio non ha dunque semplicemente "posto la sua tenda in mezzo agli uomini", ma con il Cristo ha addirittura "posto la sua tenda (tabernacolo) negli uomini". Ha fatto dell'uomo stesso il suo tabernacolo.
Nell'incarnazione di Dio, avvenuta con Gesù, Dio si è unito all'uomo in una comunione perfetta ed eterna, e ha fatto in tal modo dell'uomo un figlio, un essere che partecipa della sua divinità. E' l'uomo stesso pertanto ad essere diventato in Cristo il Tempio di Dio, il Santo dei Santi, la dimora eletta del Creatore.

Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo».
Giovanni 4,19-26

L'altare di Dio e l'Eucarestia

Nell'ultima cena, prima della sua passione, Gesù raduna i suoi attorno ad una tavola. Nasce il rito il rito della Pasqua cristiana.

Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Matteo 26,17-19


Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Marco 14,12-16


Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la Pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: «Andate a preparare per noi, perché possiamo mangiare la Pasqua». Gli chiesero: «Dove vuoi che prepariamo?». Ed egli rispose loro: «Appena entrati in città, vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo nella casa in cui entrerà. Direte al padrone di casa: “Il Maestro ti dice: Dov’è la stanza in cui posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una sala, grande e arredata; lì preparate». Essi andarono e trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Luca 22,7-13

Gesù istituisce la santa eucarestia [εὐχαρίστω: ringraziamento], e formula il rito di comunione che è il momento centrale di tutta la vita cristiana, il momento in cui si verifica l'unione perfetta tra Dio e l'Uomo. Gesù, alla maniera di Melchisedek, offre del pane e del vino ai suoi dicepoli.
Intanto Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:
«Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici».

Genesi 14,18-20

Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio».
 Matteo 26,26-29

 Il rito è costituito dunque dalla condivisione del pane e del vino, di un cibo che semplice, essenziale e quotidiano. Le parole di Gesù fanno capire che quel pane è il suo corpo, cioè la sua carne, è il suo corpo diventato pane, e che quel vino, parimenti, è il suo sangue diventato vino.

L'altare di una chiesa è dunque la mensa dell'ultima cena, il tavolo presso il quale siedono e mangiano inseme Dio e l'uomo.

Ma l'altare cristiano è anche la mangiatoia di Betlemme.
Betlemme in ebraico vuol dire "casa del pane" e in arabo "casa della carne". E' a Betlemme che il piccolo Gesù appena nato è deposto in una mangiatoia, in una mensa per gli animali.
Già alla nascita dunque, Gesù è simbolicamente presentato al mondo come qualcosa da mangiare, come un pane, un pane che è però anche carne.

Dunque l'altare cristiano, che è mensa dell'ultima cena, è anche il presepe (mangiatoia) di Betlemme.

L'altare cristiano condivide con quello pagano, con l'ara, la funzione sacrificale. 
E' vero, l'altare ospita un sacrificio, quello sempre rinnovato di Gesù Agnello Pasquale. E però non è un sacrificio a senso unico, com'era quello dei sacerdoti pagani, non è il sacrificio dell'agnello che l'uomo immola alla divinità; è piuttosto il sacrificio dell'Agnello di Dio che viene immolato all'Umanità e a Dio stesso in un solo atto.
E' Dio che compie il sacrificio per l'uomo, e in Gesù-uomo anche viceversa; l'uomo a questo Sacrificio divino si aggrappa, si innesta cercando la salvezza che è data solo dal sacrificio perfetto. Dio per l'Uomo e l'Uomo per Dio.

Per questa nuova funzione che ha l'altare cristiano è bello che la chiesa abbia voluto infine rivolgere la mensa/greppia del sacrificio verso tutti i fedeli, perchè tutti i fedeli cristiani sono invitati idealmente a sedere  intorno alla mensa del cenacolo, insieme con Gesù. E tutti sono chiamati a recarsi alla mangiatoia di Betlemme per contemplare il Dio  che si è fatto carne. Il Dio che ogni giorno ad ogni messa si fa pane e si fa vino. 

«Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.»
 dal Salmo di Davide

lunedì 9 febbraio 2015

μύθος e λόγος il Verbo incarnato di Dio


Il μύθος (mythos) è una narrazione
allegorica sacrale, è un racconto ordinatore e rappresentatore della realtà, che procede per immagini e per vicende, e che ha la tipica forma di una storia, anche elementare, sempre densa di senso e di funzione simbolica.
Il λόγος (logos) invece è un procedere razionale, "logico", è il dicorso ordinato, in altre parole è ciò che noi sempòificando chiamiamo "ragionamento".
Con il latino verbum è designata infine la "parola" in senso ampio, tanto ampio che si potrebbe applicare per indicare un insieme intimo e unitario di μύθος e di λόγος.
Gesù è il Logos incarnato?
L'evangelista Giovanni scrive:

ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν, καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος
[En archè en o lògos kài o lògos en pros ton theòn, kài theòs en o lògos]
[In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum]
[In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio]
[In principio era la Parola e la Parola era presso il Dio e la Parola era Dio]
Il greco λόγος è tradotto in latino col lemma Verbum che, a mio avviso, evitando una contrapposizione con il μύθος , consente di attribuire alla Parola di Dio un senso pieno e totale. Così che in Gesù non si trova incarnato il solo "ragionamento" divino, la "divina razionalità", ma anche il mito o, se preferiamo, il sogno di Dio. E in ciò si ha una completezza di senso e di significato che non pone limiti alla Parola di Dio, e non ne esclude alcun aspetto o risvolto possibile.
Gesù è dunque la Parola di Dio in senso pieno. In Gesù si incarna ogni razionalità ed ogni mito che sono propri di Dio.
Mentre, infatti, il dire dell'uomo rimane fantasmatico e immateriale se non è concretizzato dall'arte, che dal verbale lo trasforma in materiale, il dire di Dio si materializza diventando storia incarnata: un uomo chiamato Gesù di Nazaret e in seguito la sua chiesa.

giovedì 29 gennaio 2015

Barabba e il Nazareno

Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!». Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso. 

Matteo 27,17-26

E' chiarissimo che Barabba rappresenta "l'altro Gesù", il Gesù della politica, della liberazione armata, della violenza. 
Barabba è il Gesù "liberatore" figlio di "questo mondo", il liberatore che se non muore, se raggiunge il potere si fa tiranno spietato. 
Indipendentista, pauperista, socialista.... terrorista. 

"Volete Gesù... (volete Dio che si fa agnello sacrificale) o volete Barabba (volete l'uomo che decide di "salvarsi" da solo, con la forza delle idee e delle armi)?
La folla risponde, grida: "Liberate Barabba!" 

Ecco, Dio è solo davanti alla croce. L'uomo sceglie l'uomo, e  condanna Dio a morire.
Non ci saranno per Gesù il Narareno facili vie di fuga. Non ci saranno scambi di persone. 
L'amore di Dio è tale che morirà per l'uomo, crocifisso dall'uomo stesso.
Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta. Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio. La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva. Allora Pilato rispose loro: «Volete che vi rilasci il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba. Pilato replicò: «Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Ma Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Allora essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. 
 Marco - Capitolo 15,6-15


sabato 24 gennaio 2015

San Tito: il peccatore che è segno di speranza



Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.   
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!».  
Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male».  
E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

Luca 23


L'umanità è compresa tutta lì, in quei due delinquenti che muoiono crocifissi insieme a Gesù. Non possiamo che essere o l'uno o l'altro dei due crocifissi. tertium non datur.

Uno è quell'umanità che ancora di fronte alla sofferenza e alla morte esprime la pretesa: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Non invoca, ma sfida: Dio, se davvero tu esisti allora fa ciò che io ti ordino di fare: lenisci le mie pene, salvami dalla morte, e fallo qui e ora, e come voglio io. Se resterò inascoltato sarà perchè tu Dio non esisti o perchè sei ingiusto o, peggio, sei impotente di fronte al male!

Poi l'altro, che è l'umanità che chiede aiuto. L'umanità che non sfida, non pretende, non vuole piegare Dio ad un proprio disegno di salvezza, parziale, provvisorio e terreno, ma che si consegna al disegno di salvezza di Dio, che si affida: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». 

Entrambi i crocifissi sono peccatori, entrambi sono "giustamente" condannati alla morte: questa è la condizione dell'uomo, di soffrire e di morire, è la condizione di tutti gli uomini, nessuno escluso. Questo è il frutto del peccato originale.
Entrambi gli uomini si rivolgono a Gesù, a Dio, ma Gesù ad uno solo  dà una risposta, a quello che gli si è affidato; all'altro non rivolge niente più che un gelido silenzio. Dio non parla a chi lo sfida, mentre parla con parole di vita eterna a chi si affida. «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

In un solo istante, in un unica scena, si riassume l'intera vicenda cristiana; ecco i due atteggiamenti opposti dell'uomo rispetto alla croce umana e a quella divina: quello di chi consegna se stesso al Dio-Con-Noi, al Dio-Salvatore che gli si mostra crocifisso accanto, e quello di chi rifiuta la croce e che pretende, al posto del Dio crocifisso, un dio plasmabile e soggiogato alla maniera degli uomini. Ecco ancora il silenzio di Dio a chi non gli si affida, e la risposta di salvezza immediata all'uomo che si fida di Lui.
Ed ecco, infine, il prototipo dell'umanità salvata: il peccatore crocifisso che sta alla destra di Gesù, il buon ladrone, il buon peccatore. 
La Salvezza è questa, il Cristo, il Dio che si è incarnato e che ha scelto di morire in mezzo agli uomini. Chi crede in Lui ha la vita eterna.


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Sulla necessità del battesimo

Il crocifisso a cui Gesù annncia il paradiso non è un battezzato. Non ha nulla che lo possa far apparire come un convinto discepolo di Cristo. E allora, come può essere salvato?
Il battesimo è ben di più che dell'acqua versata in capo, è la morte dell'uomo vecchio e la nascita dell'uomo libero, libero in Cristo, libero, certo, anche di peccare se usa male della sua libertà.
Il battesimo è il diluvio universale che fa morire la vecchia umanità, ma di essa fa sopravvivere il buon ceppo di Noè. 
Il battesimo è il Nilo che porta Mosè alla salvezza. Il battesimo è il Mar Rosso che fa morire e rinascere il popolo d'Israele liberandolo dalla schiavitù d'Egitto.
E il battesimo è l'unzione crismale che consacra il cristiano come figlio di Dio. Nell'unzione cristiana l'uomo è consacrato profeta perchè ascolti e parli la lingua di Dio, re perchè sia servo degli uomini alla maniera di Gesù, e sacerdote perchè sacrifichi la sua vita in nome di Dio per la salvezza di tutti e possa mangiare dell'Agnello presso l'altare.
Il cristiano è profeta in Cristo, re in Cristo e sacerdote in
Cristo, e ciò in virtù del battesimo ricevuto in acqua e Spirito Santo.


Il battesimo è la porta che apre all'esperienza cristiana e alla vita eterna. Senza la porta non si accede alla regalità, alla profezia e al sacerdozio di Cristo. Ma di certo sono la fede, la speranza e la carità che permettono di dare vera vita al battesimo, perchè esso non rimanga una porta chiusa. 
Il battesimo è Dio stesso che entra nell'uomo, ma sta all'uomo lasciare che Dio operi in lui la conversione e lo conduca alla vita eterna. 


Il "buon ladrone", chiamato san Tito, è andato forse in paradiso senza battesimo? No, perchè il suo "battesimo" era là a pochi metri da lui, crocifisso come lui, era Gesù. E lui l'ha accolto in sè come Salvatore. 



lunedì 5 gennaio 2015

Salvezza dentro e fuori la chiesa


 Ogni singola parola di questi passi del Vaticano II è ragionata.  
«Solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà al solo collegio apostolico con a capo Pietro crediamo che il Signore ha affidato tutti i beni della Nuova Alleanza, per costituire l'unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio ». «parecchi elementi di santificazione e di verità» «si trovano fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica, come la Parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili». Lo Spirito di Cristo si serve di queste Chiese e comunità ecclesiali come di strumenti di salvezza, la cui forza deriva dalla pienezza di grazia e di verità che Cristo ha dato alla Chiesa cattolica. Tutti questi beni provengono da Cristo e a lui conducono e «spingono verso l'unità cattolica».

Io credo che la salvezza sia possibile per gli uomini solo grazie a Cristo, e perciò grazie al corpo di Cristo che è la chiesa. Ma credo che la salvezza, che viene dal sacrificio sacerdotale di Cristo (la Croce) e dalla sua chiesa, che di Cristo è il permanere storico ed immanente sulla terra, non sia un tesoro esclusivo. Come la luce e il calore non sono un tesoro esclusivo del sole, ma si irraggiano, illuminano e riscaldano tutt'intorno, sulle cose togliendole dalle tenebre e dal gelo, così la chiesa per le sue preghiere in favore dell'umanità e per il sacrificio che essa compie in questo mondo, irradia la Luce di Dio e la Sua Grazia, e favorisce in tal modo la salvezza di tutti. Non solo dentro la chiesa dunque, ma solo grazie alla chiesa, vi è Salvezza. E solo per chi "compie la volontà del Padre".